Attì


Sei entrato nella nostra vita insieme agli anni Novanta. Rumoroso, pittoresco e sgrammaticato come un picaro all’arrembaggio di signore danzanti nei night di periferia. La sigaretta in bocca e quel tuo accento di siciliano mai completamente adattato alla compostezza di questa città ancora grigia. Troncavi le parole con accenti fantasiosi, come le grafiche delle tue camicie sempre un po’ oltre il limite del buongusto.

Eri generoso, questo sì, e pronto a dare una mano, fosse una passata di vernice su un muro di cartongesso appena tirato su o una traccia da scavare in un muro per posare dei fili elettrici. Eri ricco di aneddoti, di esperienze di vita ai limiti del romanzo, che ci raccontavi ridendo e sbuffando fumo fra colpi di tosse. I soldi spesi per la bella vita, i tanti guadagnati più o meno onestamente e spesi fra bottiglie di champagne, night club e macchine (“tutto il resto l’ho sperperato”, avresti commentato se solo avessi conosciuto la storia di George Best).

Potevi lanciarti all’inseguimento di un vecchio molestatore con un cacciavite, solo per far paura a qualche codardo, o calmare i nostri animi sempre un po’ agitati con una battuta e un sorriso sornione tirato fuori al momento giusto. Ma anche tirare dritto per la tua strada, anche se significava ore e giorni di litigate e brontolii, perché sapevi che alla fine di tanto strepito, le cose sarebbero rimaste sempre le stesse. Lo sapevi perché eri oltre le nostre convenzioni. Te ne fregavi, semplicemente. Non ne avevi voglia, come di pagare le multe o le cartelle esattoriali. Sorridevi e ci fumavi su, in silenzio…

Eppure. Eppure, eri molto più vero e schietto e genuino di tante altre persone. Per questo alla fine la vita ti ha presentato il conto. Fottersene per tanto tempo di tante cose è un lusso che soltanto i ricchi di portafoglio possono permettersi. Per quelli di spirito arriva il momento in cui si viene presi a schiaffi. Mi dispiace non esserci stato quando ti hanno portato il conto. Ci eravamo allontanati, ognuno con le proprie storie malate, le proprie difficoltà, le proprie solitudini e le troppe memorie pesanti. È andata come vanno sempre queste cose. Si mettono a posto le pratiche, si sistemano i cassetti e si spostano i mobili. Poi ci si telefona ogni tanto. Sempre meno.

Qualche giorno fa sono venuto a trovarti. Ho chiesto dove riposassi e mi hanno indicato una lapide ancora lucida, da cui sorridevi con gli occhi stanchi e la solita maglia dalle fantasie irriverenti. Ti ho salutato e ringraziato, perché in fondo te lo meritavi. Ti ho lasciato una sigaretta, nascosta fra i fiori finti che coprivano il tuo nome. Trovala e fumatela in pace, Attì. E fai buon viaggio.


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