Quando ero bambino mia madre aveva delle fissazioni. Una era quella delle tende alle finestre. Mia madre non poteva vivere senza tende alle finestre. Era semplicemente inammissibile. “Chiudi le tende”, mi diceva sempre, ché ci guardano tutti dentro”. Io non capivo. Abitavamo al primo piano e il palazzo di fronte era sufficientemente lontano per evitare sguardi indiscreti. A meno che, certo, qualcuno non si fosse proprio impegnato a uscire sul balcone e a strizzare gli occhi per carpire un po’ della nostra intimità. Che poi, voglio dire, non è che ci fosse chissà cosa da osservare. Eravamo una famiglia semplice, pure troppo. Con molti casini, ma nessuno dei quali poteva essere scoperto con un semplice sguardo dalla parte opposta della strada. Eppure, “chiudi le tende, ché ci guardano tutti dentro” era il suo mantra ogni volta che mi affacciavo su via Domodossola, o che semplicemente aprivo una finestra per lasciar passare un po’ d’aria.
L’altra mania era quella della pulizia di calze e mutande. Per carità, una cosa buona e giusta da insegnare, soprattutto quando hai un figlio maschio di tredici anni non proprio naturalmente attento a questo tipo di particolari . Ma era la motivazione a essere spettacolare. “Hai cambiato le mutande e i calzini?”, mi chiedeva sempre mia madre ogni volta che uscivo di casa per un nuovo giorno di scuola. “Non sai mai che può succedere”, aggiungeva subito dopo. E no, non si riferiva a chissà quale mirabolante avventura sessuale che poteva attendermi a ogni angolo di strada, realizzando finalmente i miei sogni di adolescente maschio. “Non sai mai che può succedere” significava “metti che ti ricoverano al pronto soccorso, vuoi che ti vedano con la biancheria sporca? Cosa penserebbero di tua madre?”. La prima preoccupazione, del resto, di chiunque venga caricato su un’ambulanza e spedito in fretta e furia in ospedale.
Eppure, quando mi capitò sul serio, fu il mio primo pensiero. Quando a vent’anni o giù di lì mi spaccai la fronte al mare, tuffandomi da uno scoglio dopo aver calcolato male il rischio, mentre mi caricavano a Camogli per essere portato a Genova per una tac, mi trovai a pensare “meno male che sono in costume e maglietta e tutto sporco di sale. Pensa se avessi avuto mutande o calzini sporchi”.
Oggi queste sue manie le riscopro dolcemente in me stesso. Quando entro in una casa nuova e vivo con le persiane abbassate finché non compro le tende per le finestre. O quando ricordo ai miei figli di cambiarsi ogni giorno, “perché non si sa mai”. È questo che ci resta dentro dei nostri genitori quando non ci sono più. Certo, gli insegnamenti di vita, le grandi lezioni in negativo e in positivo, gli esempi da seguire o evitare. Ma anche le loro assurdità, i loro punti deboli, le loro fisse, che ti tornano alla gola e alla mente quando meno te l’aspetti. E su cui ridi, prima di intristirti.
Però vedi mamma, sono importanti anche loro. E ti ringrazio per il pudore che mi hai insegnato in queste piccole cose, perché mi fa pensare a te, ogni volta che tiro una tenda o mi cambio la mattina. Per non farmi spiare e perché non si sa mai, pensa un po’.
Vaìa