Pinocchio il burattino. Quello vero


2506A369-EA16-4DEC-9211-48F56011DD6F


Intanto, una premessa. Pinocchio per me è LA fiaba. Non UNA fiaba, non una storiella. Da fiorentino figlio di fiorentini Pinocchio lo si legge con lo stesso rispetto riservato a Dante. Perché Collodi ha scritto una favola in cui c’è dentro tutto, anche a distanza di quasi 150 anni. C’è la povertà, quella vera, quella di chi non mangia. Di chi si vende la giacchetta per un abbecedario. C’è l’avarizia. C’è la cattiveria. Ci sono bambini impiccati, “mutanti”, ingoiati da mostri marini. C’è un padre che lotta per ritrovare il suo figliolo senza sosta e con vera disperazione, allontanandosi se volete dall’immagine della genitorialità dell’800, tutta severità, distacco e durezza.

Pinocchio è una storia che anche attualizzata sta sempre al passo coi tempi. Anche oggi, quando dai nostri telefoni ipervitaminizzati leggiamo di bambini abusati, uccisi, ingoiati da mostri veri o immaginari. Eppure chissà perché ogni volta che la si attualizza perde qualcosa. Ci hanno provato. Lasciamo da parte Disney, che ne ha fatto un blockbuster giovialone per famiglie anti litteram. Penso per fare un nome solo a Francesco Nuti, con Occhiopinocchio, il film che ha stroncato la carriera di un attore ai tempi ai vertici del cinema italiano. O alle tante trasposizioni animate, compresa una versione giapponese dell’autore di Yattaman, Tatsuo Yoshida.

Per quelli della mia generazione Pinocchio significa Comencini. In effetti ricordo ancora benissimo tutto, compresa la azzeccatissima colonna sonora di Fiorenzo Carpi. Nino Manfredi Geppetto, Gina Lollobrigida fata turchina… Ecco, penso che per quelli della generazione dei miei figli IL Pinocchio possa essere quello di Garrone. Ancora più di Comencini, che rimase vicino al testo originale per quanto limando qua e là la sua durezza di fondo, Garrone spinge sul pedale della fedeltà al romanzo di Collodi e non si autocensura nel rappresentare i personaggio con le originali facce da animale o nel mostrare il burattino impiccato dal Gatto e dalla Volpe (due bravissimi Ceccherini e Papaleo: “Muove ancora un piedino, aspettiamo un attimo”). Dosando per molto bene trucco ed effetti speciali.

Una scelta che paga. Se è vero che Matteo, il mio figlio più piccolo, ha seguito le due ore del film con vivissima attenzione, molta di più di quella che riserva ai film a cartoni animati. Non si è spaventato e ha riso molto. Soprattutto ha fatto domande, che è la cosa principale che un’opera d’arte dovrebbe permetterci di fare. Ancor di più una come quella di Collodi, ricca di metafore e di critiche al sistema sociale dell’epoca (vogliamo parlare del giudice scimmione ottuso che mette in galera gli innocenti e libera i rei confessi?).

Ma è il messaggio di tutta la fiaba a restare attuale, soprattutto in una riedizione tanto curata, dai costumi ai dialoghi. 150 anni fa come oggi, se vuoi essere in grado di ragionare con la tua testa e non restare un burattino mosso da altri devi studiare e, perché no, anche obbedire al babbo, o almeno ascoltare i suoi consigli. Avrai tempo di fare di testa tua, ma se le basi saranno forti allora potrai farlo, e sbagliare anche, ma da uomo libero, non da testa di legno. Altrimenti il tuo unico futuro sarà quello di una fatica inumana e sottopagata. Asino da circo allora, chissà cosa oggi (le possibilità in negativo non mancano, in questa bella economia del futuro).

Un messaggio che oggi come allora è utile e giusto ricordare e che rappresenta ancora la grande verità che ci racconta la storia di quel burattino, che scappava dal suo babbo per inseguire la felicità senza saper dove fosse, sognando di diventar bambino.

Ps

Dimenticavo un altro aspetto che mi ha sempre intrigato della storia. È un babbo che va a riprendersi il suo figliolo cercandolo fino in capo al mondo e dentro la pancia di un pescecane (perché è un pescecane, scordatevi la balena tutta morbida di Hollywood). Niente mamme. Oh, non me ne vogliate. Ma a me questa cosa è sempre garbata moltissimo. Se quel babbo poi è Roberto Benigni, meglio ancora.

Vaìa


Also published on Medium.

Commenti da Facebook:


One thought on “Pinocchio il burattino. Quello vero

  1. Sulla valenza di Pinocchio sono pienamente d’accordo con te, è stato il primo libro “lungo e senza illustrazioni” che ho letto a Simone (il secondo è Alice, sono i due capisaldi). Avevo paurissima ad andare a vedere il film di Garrone perché purtroppo Pinocchio è una di quelle storie stronca-carriera che vengono male a tutti (io mi stressavo anche della versione di Comencini). Mi fai ben sperare.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *