Trentanove


Oggi sono 39. Un numero strano, di quelli che alla fine non vogliono dire nulla di preciso. Un numero che non è carne né pesce. Non ha la calda rotondità del 38, che sornione ti lascia ancora un po’ di tempo prima di fare cifra tonda, né la severa maestosità di un 40. Netto, inequivocabile. Un confine varcato per entrare (finalmente?) nella maturità.
Eppure, intanto, zitto zitto a 39 io ci sono arrivato. E se fino a pochi mesi fa ci pensavo con crescente scazzo, contando i peli bianchi e i capelli che teneramente mi salutavano dalla ceramica bianca del lavandino, adesso ci rifletto – lasciatemelo dire – quasi con stupore. E con una voglia pazzesca di correre verso quel confine che solo poco tempo fa mi faceva inorridire, come un ingiusto preludio di vecchiaia. E poi ancora avanti veloce, fino all’estremo limite della senilità.

A metterli in fila, questi trentanove anni, di cose ne trovo un bel po’. Tasselli di una vita sempre di corsa e sempre un po’ più incasinata delle altre, che saltellano fuori da angoli della memoria bui e pieni di ragnatele. Regali di bambino, desideri irrealizzati per mancanza – quasi sempre – di denaro e non di volontà. E altrettanti realizzati anche a costo di restare senza una lira, che poi è esattamente la filosofia di vita che mi ha sempre caratterizzato: godi adesso che poi non si sa. Che tanto ci sarà il tempo per preoccuparsi e rimediare. Dopo, però.

Amici con cui si è festeggiato nei Settanta, camicine stirate per bene e abbottonate fino al colletto che oggi sbiadiscono in foto di un colore indefinito stile Instagram. Ragazze con cui si è cercato di ballare penosi lenti negli Ottanta, spalline gonfie di testosterone e acconciature tutte boccoli e permanenti. Compagni di studio e proteste nei Novanta, con cui sentirsi un po’ Kerouac e un po’ Guccini, ma con molta voglia e un’infinità – e sottolineo un’infinità – di talento in meno. Fino ai Duemila fatti di responsabilità crescenti. Figli e disillusioni feroci. Pugnalate alle spalle, macerie e nuovi amori.

E poi questo 2011 che ha giocato sporco, per ricordarmi che non esisterà mai, almeno per me, una vita tranquilla da italiano in gita. Ma solo una corsa a ostacoli, di quelle con le siepi, le pozzanghere, il filo spinato e qualche cavallo di Frisia. E perché no, un paio di cecchini come si deve pronti a far fuoco anche di notte. Magari ex agenti del Mossad, che è sempre una garanzia. Però vedete, cari i miei tiratori scelti, per prendermi dovrete essere bravi. Perché a un ragazzo di Parella come me, non è che gliela fate proprio in cinque minuti.

Io sono nato negli anni Settanta. All’inizio degli anni Settanta. Ho visto le fabbriche del mio quartiere chiudere e venire abbattute per diventare negozi e quartieri residenziali. Ho giocato a pallone nella piazzetta del mercato, quasi ogni sera. Ho avuto in classe alle medie alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata adolescenziale della zona. E ne sono uscito, ammaccato ma vivo.

Ho fatto il classico da proletario senza una lira, con una famiglia amorevole, folle e un po’ – molto – disastrata alle spalle. Sono stato segato e sono diventato un alunno modello. Ho fatto l’università da pseudo privatista, barattando le lezioni per mille lavoretti saltuari, e ne sono uscito. In tempo e degnamente.

Ho lavorato, imparato, sofferto, amato e sognato. Sono stato ingenuo e incapace di vedere le cose com’erano in realtà più di una volta. Fino a quando non mi è stato presentato il conto, salato e imprevisto come sempre. E quando tutto sembrava tornato finalmente in riga ho dovuto ricominciare a correre ancora più veloce. Ho visto il male in faccia e ho insegnato al mio corpo – o almeno ci sto provando – a convivere con piccoli e grandi dolori, e vorrei poter dire che oggi colgo il bene in ogni cosa. Ma non sarebbe vero, perché dentro sono così incazzato che prenderei a calci il mondo intero se solo servisse a qualcosa. A volte è molto meglio se mi si lascia stare e non mi si rivolge nemmeno un avverbio, perché potrebbe nascerne una rissa. E credetemi, è una cosa che mi addolora, se a provarci sono le persone a cui voglio più bene.

Per cui, cari amici del Mossad, pensateci bene prima di sparare. Perché a 39 anni e con tutto questo popò di curriculum, un colpo a vuoto significherebbe un’altissima probabilità di venire presi a pedate nel culo e affogati in una delle pozzette di acqua putrida del mio personalissimo tremila siepi. Perché, intanto, io zitto zitto a 39 ci sono arrivato. Ma voi? Quanti anni avete esattamente?

Vaìa

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5 thoughts on “Trentanove

  1. Parella pride!
    Parella è quel quartiere in cui il foresto entra in piedi ed esce in barella, come diceva una vecchia scritta in zona Bronxosesia.

    E sarà a causa dei pollini che arrivano in massa dalla Pellerina, ma dal nostro quartiere popolare siamo venuti su come vecchie querce. Ogni giorno più vecchie, ma per niente al mondo meno querce. Anzi.

    E se pensi che i romani, che pure avevano un vocabolario grossino, no?, non riuscivano a declinare la parola “forza” senza piazzarci una quercia in mezzo, tenderei a essere ottimista.
    Il Mossad ci fa una sega.

  2. Tra una siepe e l’altra, pronto a gettarti la bottiglietta d’acqua, e se ti fermi un minuto a raccontarti una delle mie solite cazzate. Buon compleanno my friend.

  3. sei un faro, non ti offrirò candeline
    sei una quercia, non ti conterò gli anni
    sei uno spasso, non cercherò di farti ridere
    mi fai pensare: provo a ringraziarti.
    auguri

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