Un giorno fortunato


Terzo giro dell’isolato e niente posteggi, ne ero certo. Che città! A quest’ora è impossibile anche solo pensare di trovarne uno. Accidenti ai dentisti e accidenti a me, che me ne sono scelto uno in pieno centro. Avessi almeno potuto fissare un appuntamento più tardi. Figuriamoci! Non c’è verso di far valere le proprie ragioni con quella razza di squalo, d’altra parte a lui che gli frega?

– Mi dispiace, o domani alle 15 e trenta  o fra un mese alle 19. Che fa conferma?

Confermo, befana d’una segretaria, confermo. Va bene signora, mi fissi alle 15 e trenta, che son tre giorni che non dormo per quest’ascesso! Altro che un mese di attesa…

“Oddio! Un posto! Veloce, non devo farmelo fregare sotto il naso. Madonnegesumadonna! Un posto… proprio sotto l’ufficio dello squalo. Fantastico!”

Neanche il tempo di formulare il pensiero e una macchia rossa mi sfreccia di fianco.

– EHI? EHI BRUTTO FIGLIO DI BUONA DONNA CHE FAI? Il posto è mio! Ma che cazzo….

Scendo e gli corro incontro. È una donna, figurarsi.

– Scusi? Ma sta scherzando, vero? Non mi dica che non ha visto la freccia!
– L’ho vista, l’ho vista – mi risponde senza nemmeno guardarmi, scendendo – Ma sia gentile. Devo correre al lavoro…
– E chi se ne frega! Io ho un appuntamento. Si tolga, per cortesia, che devo posteggiare.
– Lei non capisce. Per favore, su.
– No, LEI non capisce. Si levi di mezzo! E anche veloce.
– Non mi metta le mani addosso!
– Come? Ma che dice? Se Sono a mezzo metro!
– NON MI TOCCHI… AIUTO! – Urla lei, guardandosi intorno col volto improvvisamente angosciato.
– Signora, ma cosa dice?
– AIUTO! AIUTOOOO! – fa quella, strillando come un’aquila in mezzo alla strada.
– Ma è scema? Se non la sto toccando!

Due o tre passanti si fermano a guardare. Li noto con la coda dell’occhio. Uno è grande e grosso. Sembra il prototipo del camionista o dello scaricatore di porto. Si fa avanti e gonfia i bicipiti. Si notano anche da sotto il golf.

– Ha bisogno signora? – Chiede la brutta copia di Conan il barbaro.
– ODDIO! Grazie… Stavo tremando di paura. Questo signore mi sta minacciando.
– La sta minacciando? – Mi chiede la bestia, sempre più gonfia di steroidi e testosterone.

Meglio farsi sentire.

– Ma quali minacce! Guardi che è lei che mi ha fregato il parcheggio. Sono solo sceso per dirle di andarsene e…
– Lo sente? Mi sta minacciando. Sono arrivata prima io. Ho un appuntamento, sennò il posto glielo avrei anche lasciato. Ma ho troppa fretta e lui è sceso dalla macchina per farmela pagare – precisa fra le lacrime, stringendosi al braccio dell’uomo.

Il portuale la guarda. Gonna corta, maglietta rossa aderente, bel fisico, faccia da  stronza. Poi guarda me. Barba non rasata su guancia gonfia e sguardo allucinato dal dolore per il mio dente ribelle.

– Risalga in macchina – mi fa. Gelido, e prevedibile.
– Guardi, lei non ha capito.
– Le ho detto di risalire in macchina – ripete, avvicinandosi. I suoi muscoli guizzano minacciosi, mi pare che possano strappargli la maglia da un momento all’altro.
– Non ci penso neanche. Quel posto…

Il primo pugno mi arriva in piena faccia. Fortunatamente sulla guancia sana. Il secondo nello stomaco. Il terzo di nuovo in faccia, sfortunatamente sulla guancia dolorante. La stronza, che mentre cadevo a terra ho visto ridacchiare, fa scattare la serratura con un “Bip” elegante del telecomando e ringrazia il suo salvatore con un bacio sulla guancia e un’aria e metà strada fra la ninfomane in astinenza e la scolaretta modello (lo ammetto, fa il suo effetto).

L’armadio, con i pugni ancora serrati a maglio, arrossisce come un bimbo. Giuro che se non ci fossero i miei occhi a testimoniarlo non ci avrei mai creduto. Mentre svengo non mi accorgo neanche del calcio che mi assesta sul fianco andandosene. Così, per buon peso.
Complice un po’ d’acqua che qualcuno mi spruzza in faccia, nonostante tutti mi guardino un po’ come una specie di mostro di Düsseldorf di quartiere, torno in me e mi tiro su a fatica. Se non altro non sento più male. O meglio, ne sento talmente tanto che non me ne rendo neanche più conto. Quando mi giro verso la macchina vedo che i vigili se la stanno portando via con il carroattrezzi.

– Scusate, ma… Che succede?
– Divieto di sosta. Mi spiace – mi fa uno di loro, senza neanche degnarsi di sollevare lo sguardo dal blocchetto delle multe.
– Ma come… Divieto di sosta? Ma da dove cazzo siete sbucati?
– Innanzitutto moderi il linguaggio, per cortesia. Ci ha avvisato il tenente Sarti. Si stava prendendo un caffè quando l’ha vista molestare una signora. Lasciando la macchina in doppia fila, oltretutto.
– Il tenente Sarti? – “Stai a vedere  che il camionista era un vigile in libera uscita”, penso.
– Voglia favorire patente e carta di circolazione, grazie.

Verbalizzato da una multa lunga un metro e più leggero di cinque punti, dopo un’altra mezzora di contrattazioni mi dirigo finalmente verso il palazzo del mio dentista. Sono sempre più intenzionato a farmelo strappare questo maledetto dente. Così, senza anestesia.

– Prrrrrrr, Sì? – odio il rumore di questo citofono. L’ho sempre odiato.
– Sono Verri. Ho un appuntamento con il dottore.
– Prrrrrrrr, Veramente lo aveva un’ora fa… (“Stronza, stronza, stronza”, penso).
– Lo so, sono in ritardo. Ma vede… Il posteggio… E poi c’era un tale che…
– Prrrrrrr, Va bene, va bene. Salga – taglia corto lei.

Salgo. Per le scale conto i gradini. Mi aiuta a rilassarmi. Sono 79, lo dico per i più curiosi. La porta dello studio è socchiusa.

– Buongiorno – e mi fermo, per non dire qualcosa di spiacevole.
– Buongiorno – Miss Finto Sorriso mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Saranno le ecchimosi.
– Sono Verri. Ho un appuntamento con il dottore.
– Mi spiace. Il dottore non c’è.
– Prego?
– C’è il sostituto. Impegni familiari.
– Il sostituto?
– Non si preoccupi. È bravo e son sicura che le piacerà. Comunque oggi è la sua giornata fortunata. Anche se è in ritardo davanti a lei non c’è nessuno. È incredibile quanta gente non si fidi di un dentista se prima non lo ha provato almeno una ventina di volte. Appena hanno saputo della dottoressa sono tutti andati via.

“La dottoressa?” penso io, ma non lo dico.

Mi siedo sul lettino. Tovagliolo, bicchierino pieno d’acqua, sputacchiera e lampione negli occhi. Tutto è al suo posto. Abbasso le palpebre e cerco di rilassarmi. Una donna… Speriamo almeno che abbia le tette grosse, così quando si appoggia per lavorare ci si diverte un po’. Mi passo la lingua sulle labbra e sento aprirsi la porta. Impiego un paio di  secondi a inquadrarla, tutta in controluce com’è. Ma quando la metto a fuoco non posso sbagliarmi. Camice bianco su gonna corta e maglietta rossa. Bel fisico e faccia da stronza.

– Toh, guarda chi si rivede! Buongiorno di nuovo. Apra bene la bocca, che diamo un’occhiata… su!

E accende il trapano.

Vaìa

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