Once we were runners


La mia amica di questi ultimi mesi si chiama "Condropatia", per gli amici Condri. Di cognome "Femorotibiale". Ricercato, snob forse, ma in fondo di facile pronuncia, dopo un piccolo training iniziale. È lei che accompagna ogni mio giorno. Che mi fa star seduto sotto "fumi e raggi laser" (cito Battiato ma parlo di fisoterapie) e sopportare spiacevoli sensazioni e dolorini al ginocchio destro (lato interno) praticamente quasi a ogni passo.

Il fatto è che a quanto pare in quella zona le mie cartilagini fanno le bizze. Sono sofferenti, soprattutto se cerco di tornare a correre. Mi bastano venti minuti blandi sul tapis roulant, ormai, per sembrare il dottor House il giorno dopo. Alla faccia del "rinforzo muscolare", delle cure a base di ricostituenti cartilaginei e delle noiosissime sedute di cyclette (che mi entusiasmano come i saggi di Bruno Vespa) a cui mi sono sottoposto.

Per carità, la situazione è migliorata. Tutto questo è servito a diminuire e far quasi sparire i dolori che a un paio di mesi dall’artroscopia al menisco (ora ne son passati quattro) mi colpivano a ogni istante. Ma il fatto è che l’operazione l’ho fatta per poter correre ancora di più e meglio. Pensavo perfino alla maratona, pensate un po’. Perché non riuscivo a superare i 15 km di corsa senza dovermi fermare per il male alla gamba. 15 km… un’utopia ormai.

Pensavo che fosse un menisco danneggiato in una vecchia partita di calcetto ("Minchia, scusa purti!"). E invece probabilmente erano tutte e due le cose. Perché il ginocchio (come la caviglia) è una meraviglia meccanica dall’equilibrio precario e basta poco per farlo andare a puttane, giorno dopo giorno. Però, che cazzo!, non riesco ad abituarmi all’idea di avere una giuntura di vetro.

Correre per me era un momento di assoluta perfezione e bellezza. Era staccare la mente, sentire il mio corpo farsi forte, veloce, leggero. Anche dopo una giornata di lavoro duro. Soprattutto dopo una giornata di rotture di balle. Era respirare a fondo, superarsi ogni volta, cercare di andare un metro altre il limite. Era sudare d’estate e divetare una stufa isolata dal mondo d’inverno. Quando i passi scricchiolano sulla neve ghiacciata e tu capisci quanto possa essere bello il freddo aspirato nei polmoni.

Per conoscere o riscoprire un posto nuovo io ci correvo. In Sardegna, sulla provinciale per il mare, come a Firenze, sul lungarno dell’Albereta. Nella maremma dei campi pieni di cicale al sole e a Torino, negli infiniti giri su me stesso della Pellerina e del Parco Ruffini. E quando volevo ricordare qualcuno o rendergli onore – non ridete, mi rendo conto che sia buffo – ci mettevo ancora più impegno e gli dedicavo ogni secondo di stanchezza.

Tutto questo mi manca terribilmente. Non poterlo fare mi fa sentire male, incompleto. In preda ad alternanti pensieri. Felice quando corricchio a mo’ di novantenne e non mi fa male e disperato quando azzardo una corse appena più pesante (diciamo da settantenne) e il giorno dopo il dolore torna implacabile. Mi manca in modo totale. È un pensiero fisso, non c’è verso di scacciarlo.

Come posso rendere l’idea? Pensate a qualcosa che vi fa stare profondamente bene e in pace con voi stessi: mangiare, ballare, dormire, fare yoga, costruire navi in bottiglia, inseguire pellicani… che ne so. E adesso pensate che con tutta probabilità non potrete più farlo o che vi ridurrete alla patetica caricatura di quello che eravate solo poco tempo fa. Ecco, ho reso l’idea?

Adesso tornerò dal medico con una risonanza magnetica nuova di zecca. Ma sono stanco e francamente sfiduciato. Se avete consigli sono bene accetti. Perché ad appendere le mie Asics al chiodo proprio non ci riesco.

Vaìa

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14 thoughts on “Once we were runners

  1. …solo se fai sparire la foto dei jeans con il dragone… ;-) che peraltro ho addosso anche oggi…sono “very british”…
    Comunque sono sicura che per il nostro ritorno sarai in forma smagliante!
    See you! Cheers!

  2. Fai come me: nessuna attività fisica e fanculo a qualsiasi cosa che sia faticosa senza essere monetariamente redditizia :-)
    Vedrai che se smetti in tempo di fare sport, da quarant’anni in poi inizi a seppellire un bel po’ di conoscenti salutisti, stroncati dal classico infarto durante la partita di calcetto. Meglio riposarsi, insomma :-)

    Questo commento è sponsorizzato dall’Associazione Nazionale Sedentari

  3. a parte il fatto che voglio diventare socia onoraria della suddetta Associazione, credo che sia proprio dormire la cosa che ho sempre fatto piu’ volentieri come miglior hobby. e non mi riesce piu’ come una volta: sempre poco e sempre male. ecco, insomma, un po’ ti capisco.

  4. oppure fai come me: corri, ma in macchina. Fai più strada, ti stanchi di meno e usi solo il piede destro per accelerare e frenare. Vedi un sacco di posti, respiri aria buona (se hai un modello coi filtri antipolline e una buona aria condizionata) e non sudi.

  5. Bè, non credo che la corsa sia l’unica cosa che ti possa rendere felice. Ci sono un sacco di altri sport che potrebbero farti tornare lo stesso spirito e che non richiedono sforzi eccessivi del ginocchio…almeno prolungati. Non so perchè mi viene in mente l’arrampicata..ma ce ne sono tanti altri. (escluso gli scacchi, il ping pong e simili)

  6. Il giorno che guadagni come Van Basten puoi far correre qualcuno al posto tuo: deleghi e sei felice.

    Riguardo ad “On the run” dei Pink Floyd, non è esattamente il brano adatto, essendo uno strumentalone che parla di ansia da viaggio, senso di morte e incidenti aerei (dal vivo i Floyd lo suonavano mentre un finto aeroplano si schiantava).

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