Mi manca di te il tuo respiro. Regolare, come un mantice che sbuffava sul fuoco della tua inventiva, quasi a volerne modellare il ritmo. Una ballata lenta, che dava il tempo alle tue mani che ritagliavano carta, coloravano legni, tiravano corda, impastavano colla. Mentre Paolo Conte suonava con la sua orchestrina jazz uno di quei pezzi che ti piacevano tanto.
La tua postazione da lavoro preferita era il tavolo nel retro del negozio. Sporco di vita, cenere di sigarette, piccoli ritagli sdruciti di stoffa, triangoli di carta, solventi, pezzetti di legno, scottex, pennelli. Su tutto la cadenza regolare del tuo respiro. Era il segno della concentrazione a cui ti abbandonavi ogni volta che venivi assorbito completamente da qualcosa.
Anche nei tuoi ultimi mesi, quelli in cui ho negato a me stesso – da egoista terrorizzato – la tua insopportabile fine, anche in quei giorni brutti io riuscivo a percepirlo, sempre più flebile e roco. Mentre mi ripetevo che sarebbe tornato tutto come prima e tu leggevi il libro di qualche giallista scandinavo o ascoltavi i miei racconti sui figli e il lavoro. Il tuo respiro era lì, come sempre era stato fin dai miei primi ricordi. Perfino il ribollìo instupidito dell’ossigeno che usciva dalla bombola non riusciva a sovrastarlo. Non ancora, almeno.
È il silenzio che mi fa più male, adesso. Odio le voci che vengono dalla strada, i rumori della casa che è la tua e non lo è già più. Tutti quegli inutili spargimenti di suoni che non sono quelli che vorrei sentire. Oggi avresti compiuto 70 anni. Sarei passato da te, ti avrei preso in giro per la tua vecchiaia e tu avresti riso, afferrandomi un braccio e mollandomi una pacca sulle spalle. Poi avremmo parlato della nostra Fiorentina e della partita di domenica con la juve. Ti avrei detto che in fondo ci credevo e tu mi avresti zittito, per scaramanzia. Fra le mani un gufo di carta colorata o una vecchia cornice da sistemare.
Invece sono qua, a perdermi nei ricordi. E a sperare che ti arrivi come regalo questo verso di chi amavi tanto. Buon compleanno, babbo.
“Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…”
(Pier Paolo Pasolini)
Also published on Medium.