Primarie e vecchi merletti. Volevo Renzi, mi ritrovo l’IMU


Le primarie ci sono state e finalmente sono finite. Si è discusso, si è fatta polemica e poi ha vinto Bersani. Ho votato? Alla fine no. Al primo giro mi ero iscritto ma non ho potuto per motivi vari, mentre al secondo mi sono registrato (di nuovo) on line, ma non ho ricevuto l’autorizzazione per presentarmi. Evidentemente la mia giustifica non è stata sufficiente, ma presentarmi là per mendicare la possibilità di votare mi pareva sinceramente troppo ridicolo. D’altro canto ci sono due cose che non sopporto: rendermi ridicolo e chiedere un favore. Tirate voi le somme.

Per chi avrei votato? Renzi, senza alcun dubbio. I motivi sono più di uno. Primo fra tutti perché è di Firenze e della Fiorentina, come me. Primo fra tutti perché era una faccia nuova e, permettetemi, di facce nuove ce ne vogliono eccome, soprattutto in un partito che perde da quasi 20 anni e nel quale non si dimette mai nessuno. Bersani sarà anche una persona onesta, almeno credo. Ma a parte che di per sé non basta, altrimenti mio padre sarebbe premier da 40 anni, la sua figura bonaria si accompagna da sempre a una certa casta di sinistra di cui non tollero nemmeno più l’odore. Facce da nomenclatura tirate e arroganti, che vorrei davvero per una volta vedere andare a lavorare.

Avrei votato Renzi perché, come elemento di rottura, avrebbe (spero) finalmente apportato un cambiamento di mentalità nella sinistra italiana. Uno scatto in avanti più improntato al merito, quello vero, che alla difesa paritaria di tutti quanti, indipendentemente da quello che hanno fatto e possono o vogliono fare. A partire da chi ci governa. Perché alla fine, me ne sono accorto sulla mia pelle, riempirsi la bocca di principi e di belle parole per difendere tutti vuol dire non difendere davvero nessuno. Tranne quelli che fanno parte della propria cerchia di interesse e di clientela. A destra come a sinistra. Triste a dirsi, ma assolutamente vero.

Tante parole sono state spese per promuovere Renzi. Fra le migliori, sicuramente, quelle del mio amico Enrico. Per cui leggetelo ed evitatemi la fatica di ripetermi. Aggiungo solo un punto. La mentalità di sinistra, oggi, si divide in due. C’è quella vendoliana dei principi, della retorica che scalda il cuore, e che alla prova dei fatti, in un paese come il nostro, non mi pare in grado di andare oltre a dei sani ideali, anche affascinanti per carità, ma molto poco concreti. Mentre invece la concretezza serve eccome. Le idee e le capacità devono essere messe in grado di competere e di seguire una loro selezione naturale. Solo così si può puntare all’evoluzione e non al mantenimento sulla difensiva dello status quo. Quel che conta di più è dare a tutti le stesse opportunità di partenza, non fare arrivare tutti nello stesso posto.

Poi c’è la mentalità di Renzi, coraggiosa, capace anche di dire cose scomode. Capace di ricordare che i diritti, oggi, bisogna guadagnarseli. Non è più il tempo di pretenderli, almeno non sempre e comunque. I diritti si sono conquistati, nessuno li ha mai regalati. Da quelli bisogna ripartire, dalla scuola, dalla sanità, dal lavoro. Ma cambiando mentalità, perché è il mondo a essere cambiato e le tutele aprioristiche oggi finiscono progressivamente per difendere parti sempre più esigue di società. Dire queste cose è di sinistra. Rottamare le brutte facce, le brutte abitudini, i brutti privilegi (anche i nostri) è di sinistra. È che a dirlo sia un uomo di 37 anni è di sinistra.

Nel mezzo, perché il nostro è un paese meravigliosamente incompiuto e pauroso del diverso, c’è la sinistra di Bersani, quella che ha vinto. Quella del colpo al cerchio e del colpo alla botte. Quella che parla ancora di diritti, ma con mille distinguo, timorosa di prendere posizione in un paese dove i moderati e gli “indecisi” contano più di chi ha le idee chiare. È la sinistra contabile. Quella che scalda come uno scontrino e seduce come un ragioniere.

Ecco, da noi ha vinto ancora una volta questa idea di sinistra. E io sono contento come il giorno che la Juve vinse lo scudetto dopo anni e il bambino vicino a me al ristorante, intonava felice “Un sol grido, un solo allarme, Firenze in fiamme!”. Potremo anche andare un’altra volta al governo, ma alla fine resteremo sempre impantanati nella melma del già visto. Come un uccello con le zampe bloccate nel fango, incapace di spiccare il volo. Senza la capacità di cambiare davvero le cose, saremo obbligati a vivacchiare, sperando in tempi migliori. Che è poi la ragione per cui nel 2012 termini come eutanasia, matrimoni gay e tanti altri sono ancora presenti solo nelle agende rosse di partitini di rottura, come Radicali e SEL. Mentre il PD affoga nei distinguo, nelle eccezioni, nelle pruderie di partito.

Io il programma di Renzi lo avevo letto on line. E mi era piaciuto. La sua faccia mi piaceva. Il suo entusiasmo mi piaceva. Ma ha vinto Bersani. Uno che quando è andato al governo come ministro allo sviluppo economico, potendo contare su una sontuosa maggioranza di un senatore uno, si è lanciato nella riforma della concorrenza, partendo dai taxi. Il vero cancro del nostro paese. Non l’evasione fiscale, gli sprechi, i conflitti di interesse, i diritti civili calpestati o la crisi occupazionale. I taxi. Poi dicono che Renzi non ha esperienza come politico. Meglio così, forse.

Adesso che il clamore si è placato, quel che resta è una profonda stanchezza. La stessa che mi ha impedito di andare al seggio e fare cagnara se non mi facevano votare al secondo turno, giustifica o no. Cosa che un tempo credo avrei fatto.

Una stanchezza che si tramuta in disgusto profondo, quando vedo una città come Torino lasciare andare a pezzi i propri servizi sotto il peso di un deficit ormai fuori controllo, che ha portato il Comune sull’orlo del commissariamento. Abbiamo avuto le Olimpiadi e la metropolitana, è vero, e sono state e sono risultati meravigliosi. Ma stiamo perdendo bidelli, qualità delle mense, servizi pubblici, assistenza. Col risultato paradossale di un comune che non paga i fornitori da tempo immemorabile, condannandoli al fallimento o alla cassa integrazione, pur continuando a pretendere i servizi che erogano e a chiedere tasse sempre più esose. Come l’IMU che ci accingiamo a pagare, una con le aliquote più alte in Italia.

Ecco perché avrei votato Renzi. Non perché sono certo che avrebbe cambiato le cose davvero al 100%, ma perché speravo che almeno ci avrebbe provato. E puntando alla rottamazione speravo avrebbe preteso la morte politica di chi è riuscito a ridurre al lumicino le finanze di una delle città più importanti del nostro paese, subentrando ad amici di partito che avevano diligentemente spianato la strada alla rovina, prima di riciclarsi in una fondazione bancaria. Sarò vecchio stile, ma certi comportamenti me li aspetto dagli altri, dai fedeli del nonno tombeur des femmes, e non da chi ancora oggi si dice orgogliosamente di sinistra a parole e si dimostra concretamente di estrema destra nei fatti.

Perché a quel punto preferisco un pischello con la faccia sveglia, la parlantina sciolta e le idee chiare, che si presenta diverso dai tanti soloni di partito, ma che almeno non ti rincoglionisce di retorica finta e stantia. Perché se questa è classe politica che governa nella mia città e che ha vinto le primarie, allora davvero la democrazia e la sinistra come le intendo io sono ormai irrimediabilmente morte. E senza ombra di dubbio sarebbe preferibile avere a che fare con un inquisito di destra o direttamente con un sovrano più o meno illuminato che con queste figure. Almeno avrei davanti un nemico chiaro, identificabile. Non un mio sosia, che si avvicina amichevole solo per potermi sfilare il portafoglio e tirare a campare alle mie spalle ancora un po’.

Magari ne avrei ricavato solo l’ennesima delusione. Ma provare a liberarsi di certi personaggi sarebbe stata comunque una gioia per gli occhi e per il cuore.

Vaìa

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